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IL PAPA' DI GIOVANNA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 settembre 2008
 
di Pupi Avati, con Silvio Orlando, Francesca Neri, Alba Rohrwacher, Ezio Greggio, Serena Grandi (Italia, 2008)
 
Apprezziamo, una volta tanto, il “cosa”; piuttosto che abbandonarci al piacere (certo, più inebriante) del “come”. Sensibile, esperto, sempre vicino ai propri attori, alle storie piccole che talora acquistano risonanze più grandi; il cinema di Pupi Avati è fatto di questo. Proprio come la vicenda che è alla base di IL PAPÀ DI GIOVANNA: l'adolescente bruttina che per gelosia uccide la compagna di scuola. Ma, più ancora, quella del padre, professore frustrato nella meschina piccola borghesia dei tempi, che la protegge oltre ogni limite, quasi a giustificarla. Tragedia dell'eccesso di amore quando, esattamente come nella sua assenza, conduce ai confini morbosi dell'autodistruzione, della disintegrazione del nucleo famigliare, delle regole della convivenza civile. Se il film, malgrado certi suoi limiti non solo di credibilità, finisce per risultare uno dei più toccanti del proprio autore, non è tanto per l'abile, ma un attimo scontata ambientazione (fotografia che scolora nel seppia, interni claustrofobici dei palazzoni nelle intristite miserie della Bologna fine Anni Trenta). Piuttosto, ed è quasi scontato conoscendo i precedenti di Avati, per la qualità degli attori e la giustezza della loro direzione. Non solo Francesca Neri (la madre bella ed emarginata), il sorprendentemente Ezio Greggio (condiscendente, ambiguo miliziano), o la tragica ma non proprio struggente protagonista (Alba Rohrwacher, alle prese con un personaggio non facile da far digerire); ma uno straordinario Silvio Orlando, probabilmente l'attore più grande nel cinema italiano contemporaneo, che ha così strameritato il Leone alla recente Mostra di Venezia, che riesce a rendere profondamente umano (come in quella “rinuncia” del protagonista alla moglie) un caso che sarebbe potuto risultare anche solo patologico.

Splendore insolito del tema; equilibrio e onestà della fattura, alla quale non sempre corrisponde una sua originalità. Da Avati ci si aspetta uno sguardo classico e non certo una regia “moderna”: ma è giusto notare come nel film non sempre funzioni il rinvio fra il dramma dell'intimo e quello pubblico, fra la storia piccola con quella con la maiuscola. Complice la scarsa riuscita delle scene d'azione, dei processi sommari, le fucilazioni, quel finale discutibile e le sequenze di maniera dell'ospedale psichiatrico. Ma rimane il resto, non è poco.


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